Il futuro dell’economia? È circolare
Di Emanuele Bompan
Giornalista ambientale, geografo, autore di «Che cosa è l’economia circolare».
Se prendete la tastiera del vostro laptop e digitale “economia circolare” il noto motore di ricerca americano riporta immediatamente 8.650.000 risultati con quella chiave di query. Un risultato sorprendente se si considera che nel maggio 2015 il risultato riportasse solo 471mila risultati. Un’impennata di ricerche e di testi, sia divulgativi, sia accademici, che mostra il vivace interesse intorno a questa nuova macro teoria economica. Una struttura nuova, non più vecchia di un lustro, ma che raccoglie l’eredità intellettuale di oltre cinquant’anni di storia del pensiero ambientalista ed economico. Le tracce vanno ritrovate nelle opere di Walter Stahel, il teorico dell’economia dei servizi, Amory Lovins, alfiere dello sviluppo industriale sostenibile (da leggere il seminale Reinventare il Fuoco), la visione di William McDonough & Michael Braungart per un design dalla culla alla culla, dove nessuna materia viene sprecata, il guru della blue economy Gunter Pauli, il lavoro di bioeconomia di Nicholas Georgescu-Roegen, dove sociale e ambiente si incontrano per creare vera sostenibilità. Una storia interessante che mostra – come sempre – che la genealogia di un pensiero ha sempre radici lontane e profonde, complesse e non-lineari
Il termine economia circolare è de facto un neologismo, che raccoglie sia teoria che pratica. Sebbene possa essere assimilata numerose altre teorie ha una vocazione principalmente industriale, quindi legata a beni materiali, che di volta in volta si lega a finanza, economia dei servizi, giuslavorismo, digitalizzazione, ecc.
La diffusione del termine economia circolare ha primariamente il valore ontologico di definire una trasformazione necessaria del modello produttivo, offrendo un quadro chiaro ed indirizzato ai modelli produttivi e di consumo del XXI secolo, in un mondo sovraffollato e nel mezzo di una immane trasformazione climatica derivata dall’azione umana degli ultimi 150 anni. Chi dice che l’economia circolare esisteva già nel mondo rurale, non coglie la valenza squisitamente globale e industriale del modello, così come commette errore –e grave – chi la minimizza in maniera provinciale a mera economia del rifiuto.
Essa si contrappone al simbolo della modernità, ovvero l’economia lineare, un sistema basato su estrazione della materia prima, produzione/consumo, e eliminazione del rifiuto, sia esso sotterrato, disperso o bruciato, ha mostrato pienamente la sua forza devastatrice. Il consumo lineare di fonti fossili ha devastato il clima del pianeta, spostando il carbonio dal sottosuolo all’atmosfera; l’uso di suolo ha decimato le foreste polmone della terra. L’uso massiccio di plastiche nel packaging ha devastato le acque di fiumi e mari. La lotta per le materie prime ha portato tensioni politiche in quasi tutti gli stati del sud del mondo, mentre la generazione sconsiderata di rifiuto ha contaminato gran parte del mondo industrializzato. L’economia circolare è il nemico naturale di questo virus.
L’economia circolare non è una teoria esclusivamente ambientalista o ecologica. Per lo stesso mondo industriale il modello dell’economia lineare è diventato un problema di mercato: scarsità della risorsa, prezzi crescenti della materia prima, difficolta di approvvigionamento, fragilità di alcuni punti della global supply chain (guerre, tensioni politiche, fenomeni catastrofici), emergenza di un nuovo protezionismo della materia prima per garantire le cosiddette riserve strategiche, costi di gestione del rifiuto alle stelle.
La scarsità di materia, congiunta alla crescente domanda che dalla fine del Novecento ha comportato un’impennata dei prezzi, sta avendo effetti destabilizzanti sull’industria e consumatori, fino ad intaccare la sicurezza nazionale di molti paesi. Le crisi alimentari e politiche più recenti (Etiopia, Sudan, Egitto, Siria) sono state tutte spinte da un mix di crisi ambientali (siccità e cambiamenti climatici) e crescita di prezzi dei beni primari sui mercati globali (dovuta alla crescita di domanda).
The Rise of the Circular Economy
Da questo assunto di fermare la follia dell’economia lineare nasce il suo antitetico, l’economia circolare. Se vogliamo trovare una madre a cui imputare la nascita e la diffusione di questo concetto dobbiamo guardare alla velista e intellettuale Ellen MacArthur che attraverso il lavoro della sua fondazione, la Ellen MaxArthur Foundation, più di chiunque altro si è impegnata a promuovere il concetto di economia circolare nel mondo industriale e finanziario globale, grazie ad un rapporto virtuoso con il Forum Economico Mondiale e ad un incessante lavoro con corporation, università e think tank.
L’economia circolare, secondo la definizione che ne dà la Ellen MacArthur Foundation, accettata anche nel mondo accademico, «definisce un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati a essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera». L’economia circolare è dunque un modello economico, in costante evoluzione, di grande complessità, in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti e la materia inutilizzata di qualcuno diventino risorse per qualcun’altro.
Certo l’economia circolare non è comprensibile in una semplice formulazione di qualche riga. Per cercare di meglio formalizzare il tema ho scritto, “Che Cosa è l’Economia Circolare” (ed Ambiente), un piccolo tentativo per porre alcuni pilastri intorno a questo concetto, partendo dal lavoro svolto da Ellen Mac Arthur e da tutte le grandi imprese ed università coinvolte, impiegando un’accurata genealogia di 30 anni di riflessione sullo sviluppo sostenibile, oltre che un esperienza decennale sul campo come giornalista esperto di ambiente e innovazione. Non è certo una teoria realizzata da me, mi sono semplicemente retto sulle proverbiali spalle dei giganti del pensiero e del business. Essendo una riflessione nella sua infanzia, il mondo della ricerca e del business avrà tantissimo da aggiungere e verificare. Ma quanto meno nel libro e in questo contributo ho ritenuto opportuno iniziare a mettere dei paletti.
Tre principi per definire l’economia circolare
Nel libro “Che cosa è l’economia Circolare” argomento che per porre fine al paradigma dell’economia circolare è fondamentale soddisfare un nuovo modello di economia che soddisfi tre principi.
1) Il primo è riscoprire i giacimenti di materia scartata come fonte di materia, limitando quanto possibile il processamento. Raccolta dei rifiuti, riciclo, gestione degli output produttivi, oggetti funzionanti buttati per cattivo management degli stock (anche domestici). Le fonti di materia prima seconda sono tantissime e non ancora esplorate a fondo. Anzi.
Il luogo di eccellenza per “l’estrazione” di questa materia prima seconda sono le città che diventano nuovi giacimenti (urbani) dove attingere per produrre nuovi beni materiali. Quando guardate ai bidoni della raccolta differenziata, nell’economia circolare, non dovete più pensare al concetto di “rifiuto” ma ad un sistema di estrazione di materia di cui voi siete i minatori inconsapevoli, la cui paga è il benessere del pianeta e la sicurezza sociale. Se si abbandonano le utenze domestiche, l’altra fonte principale è il ciclo degli scarti nelle fasi di produzione industriale. Per rendere la produzione industriale è necessario attivare processi di recupero della materia di lavorazione, dell’acqua impiegata nei processi produttivi, dell’energia non recuperata lungo la catena di produzione. Eliminare gli sprechi per l’impresa è per le imprese un grande potenziale di risparmio e di garanzia della supply-chain. Già oggi numerose imprese incentivano la raccolta dei propri prodotti e materie a fine vita, che si tratti di una t-shirt di cotone (processo di ri-filatura) o della filiera del pneumatico (attraverso la rivulcanizzazione della gomma), attraverso procedimenti di raccolta dello scarto o pratiche commerciali come la valutazione dell’usato da rottamare o il buy-back.
Nei casi più virtuosi di riciclo si deve parlare di upcycle, ovvero quanto lo scarto assume un valore come nuova materia superiore a quello del prodotto nella vita precedente. Gli esempi di upcycle nell’economia circolare non mancano. Aquafil, produttori di filati di nylon, hanno progettato Econyl, un sistema per valorizzare il nylon di scarto. Econyl consente di usare il poliammide 6 o Nylon 6 post-industriale o proveniente da rifiuti post-consumo per fabbricare nuovo Nylon 6 migliorandone la qualità. La chiave del successo è il programma Reclaiming, uno strumento per favorire una catena di fornitura inversa e garantire ingressi materiali affidabili. Da un lato il filamento arriva da moquette disassemblate da clienti di Aquafil, come il gruppo Interface, di cui abbiamo già parlato. Dall’altro la compagnia di Arco, Italia, insieme a Interface di Atlanta, USA, ha realizzato un progetto per ottenere nylon dalle vecchie reti da pesca, istituendo de facto una filiera inversa che prende un prodotto di mediocre qualità, come le reti per lo strascico usate, e lo trasforma in filo sintetico per la nuova collezione di moquette di grande stile vendute dall’americana Interface.
Esiste poi ovviamente il riuso e la rigenerazione. Quando disassemblate un oggetto complesso – ad esempio un’automobile – a fine vita non tutto va necessariamente al riciclo. Riuso e rigenerazione sono convenienti poiché minimizzano l’apporto di energia immessa nei processi (il riciclo da questo punto di vista è energy-intensive), utilizzato direttamente queste parti o componenti direttamente nella filiera produttiva attraverso test di qualità e lavorazioni leggere. I tecnici si riferiscono a questo progetto come remanufacturing e interessa componenti pesanti o resistenti, metalli in particolare, specie nel settore metalmeccanico e meccatronica
2) Il secondo principio è legato alla fine dello spreco d’uso del prodotto (unused value), prima ancora di essere scartato. Magazzini colmi di macchinari in attesa di essere dismessi, scatoloni in cantina pieni di vestiti con scarso valore affettivo, oggetti comprati e usati una volta l’anno. Un ammortamento inutile di assets il cui valore non è fatto fruttare. Guardatevi intorno a voi con nuovi occhi e vedrete quanta materia che giace inerte, sprecata, prima di essere definitivamente buttata, dopo non essere stata usata. Tralasciate il peluche, abbandonato, nell’armadio dei ricordi dell’infanzia. Il resto è solo spreco di materia.
Esempi di economia circolare, di prodotto come servizio sono davanti a tutti. Michelin offe pneumatici in forma di “prodotto-come-servizio”. Grazie a Michelin Solution è possibile prendere in leasing, con un accordo di performance, le gomme. Dal 2011 Michelin Fleet Solutions ha contrattualizzato oltre 300mila veicoli in oltre 20 paesi europei. Il gruppo in questo modo è in grado di offrire ruote di elevata qualità ogniqualvolta si rendano disponibili aggiornamenti, manutenzione e sostituzione con lo scopo di ottimizzare le flotte di autotrasporti iscritti al servizio e di diminuire i costi per la compagnia legate alla cessione del prodotto. Non cedendo il prodotto, e quindi mantenendo pieno controllo sulle proprie gomme, Michelin può ritirarle in ogni momento quando si stanno per usurare in maniera critica, estendendo così la propria validità tecnica attraverso la ricostruzione o riscolpitura per la rivendita. La compagnia di Clermont-Ferrand ha stimato che la ricostruzione richiede la metà del materiale grezzo di gomma rispetto a quello richiesto per gomme nuove, pur riuscendo a garantire il 90% delle performance di un nuovo pneumatico appena prodotto. In ogni caso lo pneumatico è monitorato e seguito dalla compagnia che conosce perfettamente modalità di allineamento, i tempi di invecchiamento e sostituzione. Il business circolare di Michelin non si ferma qua. Il gruppo francese ha attivato simultaneamente quattro leve per usare le risorse in maniera efficiente, seguendo le 4R, ridurre, riusare, riciclare e rinnovare. Da un lato, infatti, queste gomme, anche quando sono nuove impiegano una quantità di gomma inferiore rispetto ai propri competitor. I servizi addizionali garantiscono extra profitto, in cambio di massimizzazione dell’efficienza di consumo per i camion (e gomme sempre di ottima qualità).
3) Il terzo principio è fermare la morte prematura della materia. Sebbene riciclo e riuso siano strategie fondamentali di recupero della materia, spesso condanniamo a morte – cioè alla dismissione –materia perfettamente sana. E poco importa che sarà riciclata. Spesso a rompersi o guastarsi è solo una parte di un oggetto, mentre le restanti componenti rimangono perfettamente funzionanti. È come seppellire una persona che ha un braccio rotto. Riparare, upgradare, rivedere le pratiche di obsolescenza programmata sono strategie auspicabili per fermare questo scempio di materia.
Esiste anche una modalità di obsolescenza e morte indotta dei prodotti d’uso quotidiano: si chiama moda. Se per i sociologi classici come George Simmel «la moda esprime la tensione tra uniformità e differenziazione, il desiderio contraddittorio di essere parte di un gruppo e simultaneamente stare fuori del gruppo, affermando la propria individualità», per i sociologi contemporanei, come Roberta Sassatelli, la moda è «un mito fabbricato dall’industria della moda e dagli intermediari culturali che operano ai suoi confini, nonché un sistema di istituzioni che consolidano un campo di produzione e commercializzazione». Essa diventa sempre più un sistema per creare modelli culturali che definiscono la durata di vita indotta di un prodotto, sia esso un capo vestiario, un gadget, un oggetto di design. S’inventa il concetto di “stagione”, di “stile 2017”, di “colore dell’anno”. Si crea artificialmente una data di scadenza a un prodotto a livello simbolico, non-materiale, dettata dalla Ragion della moda, versione superficiale e impalpabile della monocratica ragion di Stato.
Similarmente l’innovazione incrementale continua funge da processo d’invecchiamento precoce in maniera similare alla moda. In particolare nel mondo dell’elettronica, nuovi prodotti contengono sempre innovazioni modeste, non distruttive: il telefono passa da avere una fotocamera da 12 milioni di Megapixel a una da 14,5 milioni, lo schermo diventa retina, curvo, 3D. Si aggiunge un rilevatore di impronte digitali. E così i modelli diventano 4.0, 5, 6S e via continuando. Ma, di fatto, le differenze sono spesso minime. Incrementali e modeste. Lo scopo? Vendere, allegando l’illusione del prodotto rivoluzionario.
Sebbene tutti si concentrino sul rifiuto quando è già tale, ovvero a fine vita, in pochi riflettono sulla portata dell’obsolescenza prematura della materia. Per sostenere l’elevata sostituzione dei beni, con materia sempre nuova, servono tre elementi: costi bassi dei nuovi prodotti per essere sempre più competitivi, riduzione drammatica del costo delle materie prime e taglio radicale del costo del lavoro (lavoratori sottopagati, automatizzazione, delocalizzazione). Se riflettiamo su questo capiamo che questo processo di obsolescenza è altamente pernicioso poiché aumenta in maniera innaturale il rifiuto, spinge l’estrattivismo e impatta negativamente a livello socio-economico la società.
L’economia circolare è olistica, poiché considera ogni aspetto di qualsiasi processo produttivo. È una rivoluzione che potrebbe coinvolgere ogni ambito della nostra vita, con lo scopo riconfigurare il problema della scarsità di materia, la questione malthusiana della sovrappopolazione, con effetti tangibili nella lotta per il cambiamento climatico e nella risoluzione delle crisi economiche. Naturalmente il modello non è salvifico in sé, né tantomeno deve divenire un’ideologia. È la sua applicazione onesta, la sua evoluzione intellettuale e l’uso critico, che ne potrebbero fare un modello economico vincente. L’economia circolare si differenzia da altri modelli emergenti come green economy, decrescita felice, bioeconomia, che hanno portato alla ribalta concetti come riduzione delle emissioni, sobrietà nei consumi, fine dell’economia fossile, utilizzo degli output, ecc., per il fatto che ne incarna tutti gli elementi e li integra in un unico sistema olistico che racchiude elementi di mercato (profitto), di marxismo (benessere dei lavoratori) e di impatto complessivo non lineare.